Rigenerazione urbana: oltre la retorica, verso una città giusta

Legambiente
Rigenerazione urbana: oltre la retorica, verso una città giusta
15 aprile 2025

L’approfondimento di Domenico Fontana, Responsabile rigenerazione urbana Legambiente

 

La risposta al grande fabbisogno abitativo, generato dai fenomeni d’inurbamento che hanno caratterizzato lo scorso secolo, è consistita nella creazione di grandi quartieri residenziali privi di qualità e servizi. Paesi come Francia, Inghilterra e Germania, solo per fare alcuni esempi, già a partire dagli anni Ottanta e Novanta, provarono a dotarsi di politiche per la loro riqualificazione.

 

Politiche fondate sul superamento della contrapposizione centro/periferia. Il primo inteso come, parte vitale della città, destinato ad affari, cultura, servizi, luogo della memoria/identità della comunità; la seconda, contraddistinta da problemi di carattere economico, sociale, di mobilità, di qualità della vita. Le politiche messe in campo alla fine del secolo scorso avevano proprio l’obiettivo di eliminare questo conflitto, cercando di sviluppare le potenzialità delle periferie per farle diventare il fulcro della città di domani: la città policentrica.

 

Lo scorso anno Legambiente ha prodotto un dossier, “Periferie più giuste”, che aveva lo scopo di avviare una riflessione su quanto sta avvenendo nelle periferie italiane, partendo dalla consapevolezza che quelle parti di città (che siano “periferie funzionali” ma fisicamente centrali piuttosto che il margine dei nostri tessuti urbani poco cambia) sono i luoghi in cui si concentrano le principali crisi ambientali e sociali che caratterizzano i nostri centri urbani. Ma anche quelli che esprimono le maggiori possibilità di cambiamento e innovazione necessarie per adeguare le nostre città al tempo che stiamo vivendo.

 

La necessità ormai impellente di un ripensamento complessivo, a partire dalla constatazione dell’inadeguatezza della città contemporanea rispetto alle esigenze di qualità dell’abitare ormai impostesi come fabbisogni, piuttosto che di adattamento al cambiamento climatico sorto negli ultimi anni, fa tornare periodicamente il tema al centro del dibattito politico e disciplinare. Un dibattito nel quale l’espressione “rigenerazione urbana”, quale strumento per il ridisegno della città, viene spesso utilizzata a sproposito. Appare quindi inevitabile partire dalla condivisione della definizione di questo concetto. Attenendosi banalmente alla voce del vocabolario Treccani, sarebbe una “Locuzione che, traducendo l'inglese urban regeneration, designa i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare alla scala urbana che puntano a garantire qualità e sicurezza dell'abitare sia dal punto di vista sociale sia ambientale, in particolare nelle periferie più degradate.”

 

Se questa è la rigenerazione urbana, è abbastanza evidente come la stragrande maggioranza degli interventi che negli ultimi anni sono stati realizzati in Italia non rientrano in questo concetto. Al più, possono essere considerati puntuali interventi capaci di riqualificare dal punto di vista estetico, funzionale e, quelli più recenti, anche dal punto di vista ambientale, piccole parti degradate di città.

 

Intanto perché la scala è quasi sempre quella edilizia e non quella urbana. Poi perché sono caratterizzati dal prevalere dell’interesse privato su quello pubblico, dal quale dovrebbe partire qualsiasi intervento di rigenerazione urbana. Soprattutto nelle grandi città, infatti, la molla che ha spinto verso gli interventi di recupero sono stati i profitti sui valori immobiliari e non i bisogni collettivi. E se è certamente indispensabile coinvolgere in un processo di rigenerazione la finanza privata, bisogna però ammettere che, in assenza di una legge nazionale di riferimento che stabilisca le regole d’ingaggio, negli ultimi due decenni le istituzioni locali si sono trovate ad avere un ruolo subalterno in questi processi.

 

Soffermandoci su quest’ultimo aspetto, riteniamo sia arrivato il momento di affermare con grande nettezza che non è più possibile che il mercato dei diritti immobiliari sia totalmente privo di regole.

 

Un mercato in mano ai fondi rispetto al quale le istituzioni locali hanno molte difficoltà a tutelare l’interesse pubblico. Tale tutela non può infatti essere affidata esclusivamente alla buona volontà di chi le rappresenta protempore, ma deve essere garantita da norme certe e chiare, che limitino l’arbitrio entro il quale si muove la negoziazione tra investitori privati e città pubblica. La primazia della pianificazione dovrebbe servire anche a questo e non solo a governare la trasformazione fisica della città. Se il suolo è un bene pubblico finito, è necessario che la governance dei diritti immobiliari sia in mano pubblica e non affidata alla legge del più forte.

 

Oggi salutiamo con interesse la circostanza che il Parlamento sembra voler finalmente occuparsi di riempire questo vuoto legislativo sulla rigenerazione urbana. Il problema, però, è che l’approccio appare ancora una volta quello banalizzante che si ferma alla dimensione edilizia puntando alla semplificazione delle procedure approvative. Obiettivo certamente importante, ma che da solo non basta. Se non si parte da un profondo cambiamento di paradigma, l’Italia continuerà a rimanere fuori dal novero dei paesi che stanno davvero cercando di ripensare le proprie città.

 

Anzi, proprio in considerazione del ruolo sempre più centrale che acquisirà la rigenerazione urbana, si dovrà adeguare la strumentazione urbanistica, piuttosto che provare a eluderla. La città del futuro dovrà essere capace di adattarsi al cambiamento climatico e di contrastarlo attraverso l’efficientamento degli edifici e dei sistemi di mobilità; dovrà prevenire o almeno mitigare i rischi di tipo idrogeologico e derivanti dalle isole di calore; dovrà essere più giusta e inclusiva fornendo servizi più efficienti e diffusi ma soprattutto frenando il processo di espulsione dei soggetti più deboli, anziani, giovani coppie, studenti, che non trovano più sul mercato offerte di case adeguate alle loro disponibilità economiche. È piuttosto intuitivo che nessuno di questi obiettivi potrà essere colto per semplice sommatoria di interventi edilizi. Per questo non si può mai parlare di rigenerazione in assenza di una strategia urbana complessiva. Ed è proprio questo il punto: la rigenerazione urbana non nasce da una semplificazione procedurale, ma dalla costruzione di una politica.

 

Le città non possono diventare, come invece appare sottinteso in una equivoca idea di rigenerazione, esclusivamente il luogo degli affari, del turismo e della residenza privilegiata.

 

Devono tornare a essere uno spazio di qualità a misura delle comunità che le abitano.